Radio Carta Bianca

Le forme della roccia – Mario Nebiolo

Posted in Arte e Cultura by t0bia on 3 ottobre 2010

Questa settimana ospito con piacere le parole di Mario Nebiolo, artista nato a Rivoli ma savonese d’adozione. Parole vive, che profumano di roccia.

Ci puoi raccontare la tua formazione artistica?

Un percorso normale iniziato da molto giovane, non liceo artistico e accademia, ho avuto un maestro, il pittore savonese Carlo Bossi che non c’è più da parecchi anni. Un figurativo iniziato dal vero (come non si usa più) poi un’evoluzione discreta e non molto palese di pittura e scultura rivolta a dare forma alle mie immagini interiori (normale anche questo, dicono così quasi tutti i pittori…)

Quando hai avuto per la prima volta l’idea di dipingere sulle rocce?

La ‘pittura acrobatica’ su pareti di cava o anche su ‘roccia di città’ ingabbiata dal cemento, l’ho iniziata, credo, nel 1999 a Finale Ligure, attratto dai volumi e dalla matericità della superficie, sono partito da figure più piccole : le ultime a Toirano sono alte più di trenta metri.

Ci parli del tuo rapporto con la montagna?

Arrampicatore (moderato) da più di venti anni. La roccia mi piace toccarla, girare le dita sugli appigli per sentirne la forma ed usarla per salire. Questo in sintesi è la scalata per me. La montagna è qualcosa che va molto al di là della scalata e non si lascia banalizzare da nulla, neanche dagli impianti sciistici o dall’alpinismo sportivo.

Mauro Corona in un suo libro scrive “La natura pareva ferma ma, prestando attenzione, tutto si muoveva, si faceva notare, brulicava, occhieggiava, sussurava.” Cosa ti racconta la roccia?

Nella roccia ci sono delle forme, ogni parete ha le sue. Io scelgo le cave perché c’è già pesante l’opera dell’uomo (io non posso fare altri danni con un po’ di colore e mi salvo dai sensi di colpa). Dalle forme nascono le storie o sono le storie dei posti che evocano le forme? Non saprei dire. Forse qualcosa in comune con Mauro Corona ce l’ho.

Puoi descriverci la scintilla creativa nella tua arte? Come avviene l’incontro con l’ispirazione per te?

Non saprei dire, intanto foglio di carta o parete di cinquanta metri, la scintilla non cambia. E’ un’idea che salta fuori, evidentemente non per caso , come tutte le idee, e poi si pianta lì nel centro e fa da diga alla maggior parte degli altri pensieri (purtroppo per mia moglie…)

Scalata e pittura si compenetrano e si esaltano a vicenda. La roccia, come tu dici, non è più solo superficie.

E’ sempre la questione della forma, la forma degli appigli fa nascere i movimenti , e quindi la scalata, le forme che appaiono guardando la roccia fanno nascere delle figure che a volte sono così evidenti e prepotenti che non si può fare a meno di andare a segnarle con il colore. Una pura superficie non genera così facilmente immagini e per giunta tridimensionali.

Da pittura acrobatica a live performance molto suggestiva, dove al centro si pone l’uomo e la natura, realtà e fantasia.

Mi sembra che a volte bisogna dare più sviluppo a un’idea, completarla, renderla più comprensibile, insomma finire di raccontare la storia. Siamo in tre: ‘associazione cavatori’: io, Glauco e Luigi, da un po’ di anni ci siamo presi, per così dire, la cava di Toirano ed organizziamo spettacoli. Le storie di questo teatro non ben definibile, con attori di vario genere (ha recitato con i suoi movimenti di scalata anche il nostro amico Manolo), si rifanno sempre a persone e fatti concreti, ma poi finiscono per scivolare in territori un po’ oscuri e vagamente astratti, in accordo probabilmente a certi aspetti del mio carattere.

Pittura di memoria, nostalgia e sogno, è stata spesso definita la tua arte… io aggiungerei anche evocativa… cosa ne pensi?

Evocare, in un certo senso, vuol dire fare emergere cose dimenticate, o nascoste alla vista dei più o misteriosamente invisibili anche se davanti agli occhi di tutti. Vale per le forme della roccia, evocatrici come le forme dei legni sulla spiaggia o delle nuvole…Le forme nascono appunto dalla memoria, dalla nostalgia e dal sogno, a volte abbiamo l’avventura di riconoscerle.

Ci parli della tua ricerca sull’ uomo “che fa e distrugge, sull’uomo che lotta, modifica ed è a sua volta riplasmato di continuo dalle sue stesse azioni nel mondo, sull’uomo che attacca e manipola la roccia”?

Quando mi sono avventurato per i terrazzini, le scalette e i tunnel nel cemento del muraglione di Genova, che tiene insieme brandelli di roccia friabile, ho pensato a tutto il lavoro macinato dal genere umano, e come quel lavoro ha cambiato le cose e le cose a loro volta hanno cambiato l’uomo, e così via…La roccia è il più inerte degli elementi, eppure, corrosa, tritata, ingabbiata, è campo d’azione dell’uomo, e quindi diventa tessuto vivo della sua storia. Pensiamo ai trafori, alle dighe, alle frane, ai disastri, all’energia, alle rapide vie di comunicazione…

L’ostacolo fisico, la fatica, il lavoro dietro ad ogni pennellata sospeso nel vuoto… sudore, lacrime, sangue, che si riflettono anche sui soggetti che scegli, legati a quelle pareti. Persone che hanno vissuto quelle pietre, che le hanno dentro. Amanti della montagna, operai, contadini: uomini che come scrivi tu, per il Muraglione di Genova “ancora nel muro di roccia vivono prigionieri, bloccati lì dal ricordo di tutti i genovesi”.

Io ci vado a giocare in mezzo ai massi sospesi nella cava, e quando ne ho abbastanza me ne torno a casa. Qualcuno prima di me si ci è rotto le ossa, perché un padrone potesse far soldi con i suoi rivestimenti di pietra o la sua ghiaia, oppure altri anno rischiato la vita per ingabbiare una frana,come sul muraglione di Genova. A volte la cava mi sembra più sacra di un tempio, richiede rispetto, come la montagna.

Lunedì nuova intervista – Mario Nebiolo

Posted in Varie by t0bia on 2 ottobre 2010

Lunedì prossimo intervista con l’artista Mario Nebiolo. Riparte RCB, dopo la lunga – e meritata – pausa estiva.

Inter for Emergency

Posted in Chiesa e società by t0bia on 9 luglio 2010

Con particolare piacere raccolgo la segnalazione che mi ha mandato Emergency via mail:

La Champions League per i bambini di Goma, nella Repubblica Democratica del Congo

Ancora una volta, F. C. Internazionale affianca e sostiene Emergency. Lo fa attraverso il simbolo vincente della Uefa Champions League 2009-2010, che verrà esposta al pubblico nella Sala delle Colonne della Banca Popolare di Milano.

Dall’8 al 21 luglio weekend inclusi, dalle ore 10 alle 21 (il 14 luglio fino alle ore 17), i tifosi potranno scattare la loro foto ricordo con la Coppa dei Campioni d’Europa e al tempo stesso donare il proprio contributo a favore della costruzione di un Centro pediatrico per offrire assistenza sanitaria ai bambini fino a 14 anni di età a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, in un’area dove la guerra ha portato 500 mila profughi.

(dal sito di Emergency)

Per saperne di più, questo è il sito dell’iniziativa.

A presto!

Posted in Varie by t0bia on 5 luglio 2010

RCB è in vacanza. Le interviste riprenderanno in Settembre, forse qualche sorpresa in Agosto, compatibilmente con impegni e temperatura…

Buone vacanze!

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Wind of change – Legambiente

Posted in Ambiente ed Economia by t0bia on 30 giugno 2010

Vi propongo l’intervista realizzata con Katiuscia Eroe, dell’Ufficio Energia & Clima di Legambiente. Parliamo di eolico, ma non solo…

Recenti proiezioni economiche affermano che entro il 2020 l’energia eolica potrà soddisfare attorno al 10-12% del fabbisogno energetico mondiale. Eolico in prima linea dunque per superare la dipendenza dai combustibili fossili?

L’ eolico presenta un potenziale molto alto, l’Anev (l’Associazione Nazionale energia del vento) stima che l’Italia potrà arrivare a circa 15 mila MW installati, soddisfacendo il fabbisogno elettrico di circa 12 milioni di famiglie. E’ facile capire quindi il ruolo importante che gioca questa tecnologia, sia in termini di indipendenza energetica che nella lotta ai cambiamenti climatici.

Qual è la posizione di Legambiente sull’eolico?

Legambiente è convinta che il mix delle energie rinnovabili, la generazione distribuita, sia la risposta ai problemi energetici del nostro Paese e non solo. In questa visione l’eolico, come detto prima, gioca un ruolo fondamentale. Il suo sviluppo, ben integrato con il paesaggio, rappresenta per l’Italia un’opportunità non solo dal punto di vista ambientale ma anche economico e sociale.

Com’è la situazione dell’eolico in Italia, anche nella prospettiva di limitare la nostra dipendenza energetica dall’estero?

Oggi in Italia ci sono oltre 5 mila MW installati tra grandi e piccoli impianti in grado di produrre energia elettrica pari al fabbisogno di oltre 4 milioni di famiglie. Numeri sicuramente interessanti pensando soprattutto alle sue potenzialità. Ciò non toglie che la mancanza di Linee Guida nazionali e le ultime novità nel campo dei Certificati Verdi rendono complicato e difficile lo sviluppo di queste tecnologie. D’altra parte anche il Piano presentato dal Governo sullo sviluppo delle Rinnovabili in Italia, per raggiungere gli obiettivi della Direttiva Europea del 20-20-20 punti molto sulle importazioni dall’estero invece che puntare su una maggiore autonomia favorendo lo sviluppo delle rinnovabili.

Difficoltà burocratiche e carenze strutturali della rete elettrica sono ancora gli ostacoli principali per la diffusione dell’eolico nel nostro territorio?

L’ inadeguatezza della rete è sicuramente un problema rilevante per lo sviluppo delle rinnovabili in Italia. Già oggi ad esempio in alcuni parti dell’Appennino una quota rilevante dell’energia eolica prodotta non viene immessa in rete. Lo sviluppo delle FER (Fonti Energetiche Rinnovabili) richiede di fatto un profondo cambiamento nella gestione e programmazione della rete elettrica nazionale. Soprattutto in prospettiva di quello che dovrà accadere da qui al 2020 in un contesto di mercato liberalizzato con tanti attori grandi e piccoli, progetti da fonti diverse e con esigenze diverse di immissione di energia elettrica. Le difficoltà delle rete italiana a recepire maggiori volumi di elettricità da FER sono dovute anche al fatto che rimangono insolute storiche congestioni e che su queste sono in ritardo gli interventi.

Quali i prossimi scenari per l’energia prodotta dal vento, in particolare rispetto alla correlazione eolico-impatto paesaggistico?

Il paesaggio è un tema molto caro a Legambiente e rappresenta un valore di fondamentale importanza per un Paese come l’Italia. Proprio per questo crediamo che la prima attenzione deve essere posta nelle fasi di studio e progettazione. A questo scopo, già da diversi anni, abbiamo firmato un Protocollo d’Intesa con l’Anev, il cui obiettivo è proprio quello di controllare e minimizzare, attraverso alcune indicazioni, i possibili impatti degli impianti eolici. In questi anni abbiamo dimostrato come sia possibile non solo integrare l’eolico nel paesaggio ma trovare anche il consenso di comitati e cittadini. I risultati sono stati poi presentati in un libro fotografico “Smisurati Giganti” il cui scopo è proprio quello di raccontare le bellezze dell’eolico e la valorizzazione del territorio.

Una soluzione potrebbe essere data dall’eolico off-shore?

In realtà in questi anni abbiamo visto che chi è contro l’eolico è anche contro impianti gli impianti off-shore. Anche in quei casi, come in Molise, dove l’impatto paesaggistico è praticamente nullo. L’eolico in mare rappresenta per il nostro Paese sicuramente un importante opportunità, i nostri mari sia il Tirreno che l’Adriatico offrono un potenziale importante che va sfruttato, ma anche in questo caso gli impianti devono seguire delle regole affinché siano ben integrate e non creino impatti di tipo paesaggistico.

Che ne pensa dell’eolico d’alta quota, di cui si parla dal 1970, ma che finora ha avuto scarsissime applicazioni?

L’eolico troposferico è sicuramente un applicazione affascinante ma al momento di difficile applicazione vista la grandezza dell’impianto stesso. In questo senso credo la ricerca possa svolgere un ruolo importante e fondamentale al fine di migliorare e rendere più applicabili soluzioni innovative come quella dell’eolico troposferico.

Eolico e tutela della biodiversità, altra questione delicata…

Anche in questo caso, come per il paesaggio, basta porre le giuste attenzioni ma soprattutto serve chiarezza. Infatti attraverso studi e ricerche specifiche è possibile conoscere “usi e costumi” delle specie che vivono nelle aree interessate dal parco eolico o la presenza di specie protette, basterebbe indicare con chiarezza quelle aree idonee alle installazioni che molti dei problemi sarebbero risolti.

Come vede il problema del cosiddetto “eolico senza vento” (impianti installati in zone non ventose, approfittando degli incentivi europei) ad es. nella valle di Mazara?

Il problema dei fondi europei e delle opere incompiute o fatte male è una questione aperta nel nostro Paese e non riguarda solo gli impianti eolici. Se da una parte crediamo che per il bene del nostro Paese questi fatti debbano assolutamente essere combattuti con strumenti penali e giuridici dall’altra non si deve demonizzare una tecnologia che può portare benefici ambientali e socio economici. Inoltre dobbiamo anche pensare che in Italia gli incentivi vengono dati per kWh prodotto, e questo vuol dire che investire in una turbina per poi non farla girare non è un investimento economicamente produttivo. Basterebbe vigilare di più. Inoltre in alcuni casi proprio siciliani le pale eoliche non sono produttive perché mancano i collegamenti con la rete elettrica.

Che senso ha riproporre oggi il nucleare, in un paese come l’Italia, dove le mafie gestiscono, almeno in parte, il business dei rifiuti? Non è folle pensare di permettere alle mafie di entrare nello smaltimento delle scorie nucleari?

Riproporre oggi il nucleare in Italia è folle per mille ragioni, ambientali, di sicurezza, di costi, energetici. Sarebbe certamente folle permettere alle mafie di entrare nello smaltimento delle scorie nucleari, così come è folle permettere alle mafie di entrare a far parte di qualsiasi sistema, economico o politico. A maggior ragione sarebbe ancor più rischioso nel caso di scorie nucleari già molto pericolose. Ed è incredibile pensare come ancora oggi, nonostante si parli tanto di nucleare, non esista ancora un deposito definitivo per lo stoccaggio delle scorie.

Grazie per la gentilezza e la disponibilità, Katiuscia.

Emergenza Kirghizistan – Amnesty International Italia

Posted in Chiesa e società by t0bia on 28 giugno 2010

Il nostro blog questa settimana intervista Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di Amnesty International. Parliamo della situazione in Kirghizistan.

Che sta succedendo in Kirghizistan? Ci può aiutare a capire gli ultimi avvenimenti e la portata dei fatti di queste ultime ore?

È in atto una crisi umanitaria di grandi dimensioni, provocata dalle violenze scoppiate nella città di Osh intorno al 10 giugno. I morti potrebbero essere fino a 200, le persone in fuga centinaia di migliaia.

L’OMS parla di un milione di persone coinvolte, disperate, in fuga dagli scontri etnici, esplosi il 10 Giugno… e la maggior parte sono intrappolate nel paese, per la chiusura delle frontiere degli stati confinanti.

Per questo, Amnesty International ha chiesto agli stati confinanti di tenere aperte le frontiere e di consentire, soprattutto l’ingresso alle agenzie di soccorso e assistenza umanitaria, che sono più in grado di gestire grandi flussi di profughi.

Qual è la situazione, a livello umanitario, secondo le vostre fonti?

È preoccupante. Va anche aggiunto che in questi anni molti uzbechi erano fuggiti in Kirghizistan per cercare riparo dalla repressione nel loro paese. Se ricacciati indietro da questa ondata di violenza etnica, rischiano di finire in prigione e di essere sottoposti a torture.

Molti osservatori ritengono che le violenze siano state causate per destabilizzare il Paese, alla vigilia del referendum costituzionale (27 Giugno). Da semplice scontro ad Osh, ad un conflitto interetnico nazionale sfuggito di mano…

Sappiamo che il sud era la roccaforte elettorale del deposto presidente Bakiev: una prima ipotesi dunque è che la destabilizzazione sia stata provocata per ragioni politiche e per delegittimare il governo ad interim di Roza Otumbayeva. Altri osservatori chiamano in causa anche la criminalità comune, in una comunanza di interessi con la precedente amministrazione.

Il Kirghizistan è diventato indipendente nel 1990, da allora una storia segnata da turbolenze, rivolte, elezioni non trasparenti, assassini di ministri e presidenti costretti alla fuga all’estero… ma il problema principale sembra essere l’altissima e radicata corruzione, che paralizza il paese.

Questo è certamente un problema, insieme alla dimensione del crimine organizzato. Ma non dimentichiamo le origini storiche, con la divisione della valle di Fergana negli anni Trenta dello scorso secolo tra le tre repubbliche socialiste sovietiche di Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan. Già nel 1990 le divisioni etniche avevano provocato scontri tra uzbechi e kirghizi, con oltre 1000 morti.

Quanto è importante il Kirghizistan, da un punto di vista politico, per gli equilibri dell’area?

Lo è dal punto di vista militare, giacché nel 2001 gli Usa hanno aperto la base militare di Manas, nel nord del paese, per gestire le operazioni in Afghanistan. Questa decisione ha anche provocato un forte attrito con la Russia.

Quali i passi necessari per la riappacificazione e la ripresa di un cammino di unità nazionale, secondo lei?

Indagare sulle violazioni dei diritti umani, tutelare le libertà di associazione e di espressione, sono le condizioni minime per la riappacificazione. Gli organismi internazionali sui diritti umani dovrebbero poter visitare il paese e monitorare la situazione per tutto il tempo necessario.

Qual è l’impegno di Amnesty International e Amnesty Italia in Kirghizistan?

Far sì che le richieste di cui sopra vengano accolte e fatte rispettare; garantire che non vi sia rimpatrio forzato di rifugiati uzbechi; proteggere i difensori dei diritti umani e gli organismi indipendenti della società kirghiza che stanno raccogliendo segnalazioni e denunce.

E’ difficile mantenere l’attenzione sempre alta su queste -purtroppo- continue emergenze umanitarie? C’è il rischio che qualsiasi notizia ormai non scalfisca più l’opinione pubblica…

Questo è parzialmente vero. Dobbiamo resistere però alla tentazione di “perdere il conto” di ciò che accade nel mondo. Il conto si aggiorna, non si deve perdere. Per questo, Amnesty International invita i propri soci e simpatizzanti a seguire sul sito www.amnesty.it l’evolversi della situazione in Kirghizistan e a partecipare alle mobilitazioni e agli appelli che verranno proposti.

Grazie Riccardo.

La prossima settimana su RCB due interviste…

Posted in Varie by t0bia on 22 giugno 2010

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Il mondo dentro a un cerchio – Riccardo Guasco

Posted in Arte e Cultura by t0bia on 20 giugno 2010

Questa settimana RCB ha il piacere di intervistare l’artista alessandrino Riccardo Guasco, in arte Rik.

Riccardo Guasco: disegnatore, pittore, fumettista, scultore, insegnante… Può raccontarci un po’ della sua formazione e come si è evoluto il suo lavoro, nel corso degli anni?

Ho sempre frequentato scuole d’arte e la passione per il disegno mi accompagna praticamente da quando sono nato, dal giorno in cui con un pennarello viola impugnato come un cucchiaio da cucina disegnai un grande cerchio su di un foglio bianco. Quel giorno ho capito che dentro quel cerchio poteva celarsi un mondo ed ero entusiasta di tirarlo fuori e di renderlo visibile a me e agli altri. Inizialmente fu una scoperta, un dono. Credo di avere sviluppato nel tempo un particolare gusto e piacere personale nel comunicare con le immagini, quasi a trasformare questo dono in un bisogno impellente, che mi ha spinto a “provare” ogni forma di narrazione attraverso i segni e il colore: fumetti, illustrazione, pittura, grafica, tutti modi per far emergere elementi di quel mondo silenzioso fatto solo di segni ma che forse nascondeva grandi potenzialità.

Nelle sue opere la città si purifica nel sacro fuoco del cubismo, passando per l’avanguardia russa dei primi del ‘900 e la pop art, per poi riemergere mondata, nuova e straniante. Che ne pensa di questa classificazione?

Mi piace! Tocca grandi correnti vedo, e molte di queste sono state tra le mie preferite e mi affascinano tutt’ora. Ricordo che negli anni dell’Accademia d’Arte a Torino con l’entusiasmo di chi si butta a capofitto in un progetto per viverlo a fondo, dentro queste correnti mi ci sono tuffato, per cercare di rifare un percorso e di capire quelle linee da dove venissero, poi capii che se non le avessi rifatte non le avrei mai comprese nella loro essenza, c’era una forza che mi spingeva a seguirle senza un motivo ben preciso, c’era qualche cosa di magico li dentro. Dietro quelle linee ho scoperto la storia e la biografia di grandi personaggi: Picasso, Malevic, Basquiat, Haring, forse artisti lontano nelle epoche e nella storia ma vicini in quanto a brama di dipingere e ad una purezza del segno sintomo di forte sensibilità.

Qualcuno ha detto che per essere un artista occorre avere visione, sensibilità e la volontà di non fermarsi mai, sempre costretti a nuotare, in movimento… è d’accordo?

E’ un dolce naufragio. Quando dipingo sono come sott’acqua, a volta mi trovo addirittura a trattenere il respiro!. La sensazione è molto simile a quando ci si immerge in mare, si ha la percezione di stare in un altro mondo, silenzioso, regolato da altri principi e abitato da altre creature. La sensibilità, restando in metafora, è un interminabile riserva di ossigeno in bombola che ti permette di viverci la sotto!

Da dove viene l’ispirazione? Può parlarci del suo processo creativo?

E’ il processo che più mi affascina e allo stesso tempo mi spaventa per quanto è preciso e delicato.

Diciamo che un po’ è una questione di allenamento, un gioco di squadra in cui un tridente fatto da “occhio-cervello-mano” è allenato a percepire ed elaborare gli stimoli che arrivano dall’esterno in maniera sempre diversa. Adoro osservare qualsiasi cosa, l’ho sempre fatto, anche da piccolo, seguivo ogni oggetto e “clic” cercavo di immagazzinarlo. Ammetto, non ho molta memoria nelle date o negli appuntamenti ma se ho visto un oggetto o un’immagine anche a due anni, ancora oggi me la ricordo! Disegnare tutto ciò che vedevo mi permetteva di fare un oggetto realmente mio, ripercorrerne le linee mi aiuta a dialogare con la realtà e a conoscerla. Credo di avere una banca dati di immagini interminabile nel mio cervello e adoro disegnare di tutto! Diciamo che “penso a matita”.

A volte mi dico: “E se adesso non riesco più a disegnare niente? O se quello che ho in mente non riesco più a rappresentarlo?” Per questo non mi affeziono troppo alle cose che faccio, sono feticci, l’importante è aver appreso come si fa.

Ho intravisto nelle sue creazioni un richiamo alle suggestioni e a certi caratteri di quel “realismo magico” à la Kusturica, tanto per citarne un rappresentante. Questo parallelismo le piace?

Dico la verità, so poco sul “realismo magico”, ma credo che ci sia davvero qualcosa di magico nella realtà e nella quotidianità di tutti i giorni che vale la pena non distrarsi e allenare la sensibilità per cercare di percepirlo.

Ci può parlare della sua esperienza come insegnante? Vorrebbe dire qualcosa o dare qualche consiglio ai più giovani, che vogliono intraprendere questa strada?

Non me ne vogliano i miei studenti ma l’insegnamento lo reputo un po’ un secondo lavoro, non insegno purtroppo materie artistiche nelle mie lezioni quindi non posso passare ad altri quella che è la mia passione più forte. La cosa però che mi hanno insegnato i giovani di oggi è l’energia inespressa che hanno dentro, grezza, d’impulso, questo, di loro, mi affascina. Le cose che vorrei insegnare loro e che consiglio tra le righe delle mie lezioni di informatica è la purezza, la semplicità, l’ironia e l’energia che bisogna tirar fuori ogni volta che si affronta una sfida, smettendola di imitare qualcuno o a pensare che il mondo è di qualcun altro. il mondo è il loro, lo vivano fino in fondo.

Qual è il progetto più divertente a cui ha lavorato, finora?

Le “Officine Marcovaldo”, un progetto artistico multidisciplinare nato ormai 4 anni fa, creato insieme a 4 amici con l’intento di rendere più attraente le vie, più dolci le attese degli autobus, meno monotona la cartellonistica stradale, e rendere la città più stimolante agli occhi dei passanti distratti. E’ nato quasi per gioco davanti ad una birra e al libro di Calvino. Lo sguardo che Marcovaldo aveva sulla sua città ci ha affascinato e abbiamo provato a cambiare prospettiva facendo nascere quello che oggi sono un sito, un blog e un’agenda ricca di progetti e spunti utili ad ogni cittadino “attivo”come ci piace chiamare chi vive la città.

http://officinemarcovaldo.com

http://officinemarcovaldo.blogspot.com/

Una mostra oppure un artista che l’ha segnata profondamente.

Ce ne sono molti, non mi basterebbe un mega (visto il supporto su cui siamo) per elencarli tutti. L’artista indubbiamente che più mi è entrato nelle mani e che da più tempo non mi delude è Picasso, la sua energia e la sua poliedricità sono inesauribili, andare ogni tanto a Barcellona al museo Picasso per me equivale ad un pellegrinaggio in Terra Santa. Poi ce ne sono sicuramente altri, alcuni passeggeri, altri rimasti nel mio cuore e nella mia mano per più tempo: Basquiat, Matisse, Depero, Morando, che è un pittore dei primi del 900 della mia città, Alessandria, solo per citarne alcuni. Per quanto riguarda una mostra che mi ha particolarmente impressionato e dato una notevole motivazione, direi sicuramente “beautiful losers” un’ esposizione del 2006 ospitata in Triennale a Milano sulla nuova generazione di artisti di strada che rendeva lustro alla “street culture” dei primi anni 80′, e da quella a tutti gli artisti contemporanei che ne sono seguiti: Tim Biskup, Jon Burgerman, Banksy, Antony Micallef, Zevs, Antony Lister, Remed…per citarne alcuni

Ci parli di un suo progetto per il futuro, (non necessariamente legato all’arte).

Una serie di grandi opere realizzate sulle facciate dei palazzi della città sui nuovi valori utili alla sopravvivenza delle persone…rispetto per se stessi, per la natura, per i soldi, per il lavoro, coraggio in se stessi, riconoscimento ai giusti miti e non ai soliti idoli last minute che si vedono su pubblicità e tv (vecchi media). Credo che alla fine lo scopo dell’arte sia questo: aiutare a vivere e a migliorarsi, vederla quando si passeggia portando fuori il cane o quando si è fermi al semaforo può solo far pensare che siamo immersi in quest’arte e che quindi fa parte di noi e con noi convive.

In chiusura, cosa l’emoziona, nell’arte e nella vita?

Mi ero fatto questa domanda parecchio tempo fa e mi ero deciso ad appuntare su un taccuino tutte le cose che mi avrebbero emozionato e le cose che già lo facevano, scrissi: “Il sole a colazione in terrazza, i paesaggi silenziosi, camminare senza meta, il vento forte, la neve di notte, i laghi di montagna, le anatre che migrano, un bicchiere di vino con un amico, gli eroi romantici, un assolo di tromba, il profumo di lavanda, ballare in salotto… e tutte quelle cose piccole o brevi e quelle persone talmente semplici e vere che solo con la sensibilità si può percepire il bello che si portano dentro.”

Grazie, Riccardo.

Lunedì 21 Giugno, in modulazione di frequenza, solo per voi…

Posted in Varie by t0bia on 16 giugno 2010

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Il mare non si protegge da solo – Isabella Pratesi del WWF Italia

Posted in Ambiente ed Economia by t0bia on 14 giugno 2010

Questa settimana ospitiamo un’intervista con Isabella Pratesi, responsabile dell’Area Conservazione e Progetti del WWF Italia, che ringraziamo calorosamente per cordialità e disponibilità.

8 Giugno: giornata mondiale per gli oceani, nell’anno della biodiversità. Il WWF denuncia il fallimento delle politiche globali di gestione degli oceani e della pesca. Da dove si può ripartire? Quali le urgenze?

Si devono rimettere gli oceani e la pesca al centro delle nostre politiche di conservazione. Non è possibile che nel 2010 i mari tutti vengano considerati una res nullius, un pozzo senza fine da cui estrarre risorse infinite con pratiche legali ma insostenibili o peggio con azioni illegali e criminali. La nostra sensazione è che tutto quello che succede sopra e sotto il mare, tanto più se in acque internazionali, non sia affare di nessuno. L’idea comune è che possiamo pescare quello che ci pare, come ci pare e fino a quando ci pare. Oppure che possiamo buttare a mano tutti gli “scarti” tossici del nostro sviluppo insensato. Dai e dai alla fine anche i 2/3 di superficie del pianeta finiranno….. ma non in senso fisico, finirà la capacità del mare di rigenerare risorse o di offrire servizi.

Dal sito del WWF Italia si legge come “nonostante l’immenso valore del nostro “pianeta blu”, meno dell’1% degli oceani del mondo è formalmente protetto, contro quasi il 14% delle terre emerse protette.” Perché è così difficile “far passare” l’importanza della tutela del “pianeta blu”, anche dal punto di vista della comunicazione?

Fondamentalmente perché tutti noi pensiamo che il mare si protegga da solo. Non riusciamo a vedere con i nostri occhi le grandi trasformazioni che avvengono sotto la superficie dell’acqua…per il mare non c’è un problema di foreste tagliate, di cementificazione o di asfalto selvaggio. A guardarlo da fuori è sempre uguale a sé stesso. Purtroppo non è così: l’ultimo grande allarme è il problema dell’acidificazione degli oceani. Fino ad oggi i mari sono stati degli ottimi serbatoio di CO2 che veniva assorbita e immagazzinata. Oggi però gli oceani non ce la fanno più: e come conseguenza immediata si abbassa il PH delle acque, con conseguenze nefaste soprattutto sulle meravigliose barriere coralline che rischiano di scomparire.

Il mare protetto potrebbe aiutare innanzitutto a sperimentare nuove forme di utilizzo sostenibile delle risorse ittiche, consentirebbe agli stock più sfruttati (come quelli di tonno) di recuperare per il bene degli ecosistemi marini e per il nostro.

Parliamo della tragedia del Golfo del Messico. Quali saranno le ricadute ambientali a lungo termine? Sarà davvero possibile ritornare alla situazione preesistente?

E’ difficilissimo fare previsioni. Mancano degli studi su impatti di questa portata. Parliamo ancora oggi di alcuni milioni di litri di petrolio che finiscono ogni giorno in mare. Quello che abbiamo imparato dalla triste esperienza del disastro dell’Alaska (Prince William Sound, 1989) è che i danni peggiori si riscontrano nei mesi e negli anni successi all’incidente. Ancora oggi in questo meraviglioso tratto di mare ci sono alcune specie di uccelli, di mammiferi e di pesci che soffrono delle conseguenze dell’inquinamento. Per alcune specie, il declino iniziato nel momento del disastro non si è più arrestato.

Gli idrocarburi aromatici policiclici presenti nel petrolio, sono infatti estremamente persistenti negli ecosistemi e producono di generazioni in generazioni danni al materiale genetico, al sistema riproduttivo, al sistema nervoso, al sistema immunitario, etc. etc.

In un bell’articolo del NYT si spiega come non siano tuttora noti tutti i potenziali effetti di questo disastro ambientale sulla biodiversità e la vita marina… si parla anche di plumes, grandi nubi di petrolio che non vengono in superficie, ma restano nelle profondità oceaniche, il cui impatto è tuttora sconosciuto…

Il dramma di quest’incidente è che il petrolio non si è rovesciato sulla superficie, come nei diversi casi di petroliere affondate, ma è stato sparato ad altissima pressione lungo tutta la colonna d’acqua.

In questo modo nessun ambiente o ecosistema è sfuggito all’impatto. Anzi. Si teme appunto che i peggiori impatti li possa avere il petrolio negli ecosistemi dei fondali profondi, dove potrebbe accumularsi per decine e decine d’anni nei primi pochi centimetri di sedimenti. Questo tipo di accumulo permette al petrolio di continuare a produrre i suoi effetti nocivi per periodi di tempo assai lunghi e ancora non calcolabili.

I lobbisti del petrolio (ad es. Sarah Palin, ex Governatrice dell’Alaska, nella sua pagina Facebook) accusano gli ambientalisti del disastro della piattaforma BP. Con il loro attivismo -dicono- non hanno permesso di trivellare la terraferma, più sicura rispetto alle profondità oceaniche. Persino un Presidente come Barak Obama è sembrato fin dal principio prigioniero del sistema lobbistico, invischiato nella “grande cricca mondiale”. Ma allora siamo davvero nelle mani di chi vuole – consapevolmente – distruggere il nostro pianeta?

E’ meraviglioso che si dia la colpa agli ambientalisti…è come dire che l’utilizzo illegale dei bambini nelle fabbriche dei paesi di via di sviluppo sia dovuto ad una tutela eccessiva dei bambini dei paesi industrializzati! Quello che invece il WWF ha sempre sostenuto è che la nostra generazione dovrebbe affrancarsi gradualmente dai combustibili fossili, sia che si tratti di petrolio, sia che si tratta di carbone, dedicando molto più slancio all’utilizzo delle energie rinnovabili e in ogni caso, riducendo in modo intelligente i consumi. L’utilizzo dei combustibili fossili ha dei costi nascosti di cui si parla troppo poco e che, sicuramente, ricadono sulle spalle della gente e dell’ambiente e non su quelle delle multinazionali. Sto parlando ad esempio dei cambiamenti climatici prodotti dai gas legati alla produzione e consumo di combustibili fossili. Ma anche al costo di questo tipo di incidenti, che alla fine saranno pagati dalla natura e da tutti noi.

E’ così lontana quell’integrazione economico-sociale finalmente “intelligente”, che ci permetta di superare la trappola dei combustibili fossili? Quanto manca, in altre parole, perché pesca, trasporti, industria, turismo,… lavorino in sinergia per passare da un concetto di “riserve” ad un concetto di “bene comune”, ossia di “oceano/mare di tutti”? Iniziare eliminando i sussidi dei governi ai combustibili fossili, magari non sarebbe una cattiva idea (si parla di 550 miliardi di $ all’anno di incentivi, più o meno nascosti)…

E’ vero, questa è la vera sfida. Mettere il reale valore dei beni comuni (risorse naturali) al centro dell’economia del pianeta. Fare in modo che qualunque politica di sviluppo consideri il bene natura come un bene finito che deve essere utilizzato all’interno delle capacità stesse della natura di rigenerare quel bene, sia che si tratti di pesce, che si tratti di acqua, di aria, di legno o di qualunque altra risorsa naturale. Qualche passetto in avanti lo stiamo facendo, ma serve una vera e propria svolta culturale, senza la quale non andremo da nessuna parte.

L’economista Jeremy Rifkin sostiene che è arrivato il momento di comportarci da esseri umani: per troppo tempo siamo stati in guerra non solo con l’ambiente circostante, ma con noi stessi. L’uomo finisce per distruggere ciò che lo mantiene in vita, il suo habitat…

Su internet c’è una bellissima immagine di un uomo seduto su un ramo di un albero intento, senza rendersi conto di mettere a repentaglio la sua stessa vita, a tagliare il tronco dell’albero. Ecco questa è la migliore rappresentazione di quello che stiamo vivendo. Però noi siamo positivi e vediamo che lentamente iniziano ad affacciarsi nuove idee, nuove proposte, nuova voglia di intervenire, nuove domande e soprattutto anche nuove soluzioni. Perché le soluzioni esistono e possono essere percorse purché si capisca che non vanno più rimandate. E non sono dei percorsi catastrofici di immensa difficoltà, ma dei percorsi anche intelligenti da cui tutti potrebbero trarre giovamento.

Facciamo un esempio: si parla tanto di disoccupazione, di mancanza di posti di lavoro…io penso che la natura potrebbero essere un meraviglioso cantiere di attività e lavoro. Il recupero degli ecosistema, il disinquinamento, la rinaturalizzazione, la creazione di connessioni verdi, il monitoraggio, lo studio, la produzione di beni sostenibili, potrebbero essere solo alcuni degli elementi su cui si fonda una nuova green economy che porti benefici a tutti ma soprattutto al pianeta.

L’informazione è alla base di ogni processo decisionale e presa di coscienza. Penetrazione nelle scuole, nelle aziende, nei media, nel turismo sostenibile,… il WWF è sempre stato all’avanguardia nella comunicazione. Quali sono i prossimi scenari d’intervento per la campagna oceanica/marina?

Anche noi dobbiamo fare in conti con una crisi che ahimè rischia di ridurre il numero dei nostri sostenitori…ciò detto anche quest’anno faremo tutto il possibile per parlare di mare, dei suoi problemi e per chiedere a tutti di starci vicini e aiutarci a sostenere la causa di chi non può parlare e non può esprimersi. Utilizzeremo tutti i mezzi disponibili: radio, web, televisione, stampa. Ma soprattutto crediamo moltissimo nella forza delle idee e delle posizioni che non sono promosse da interessi personali ma che hanno come unico interesse quello di proteggere questa meravigliosa natura che ci circonda.

Ci può raccontare un risultato di cui andate fieri?

Rimaniamo in tema di mare e di pesca: uno degli ultimi risultati di cui andiamo fieri è la moratoria della pesca del tonno che quest’anno è andata in vigore in Italia. Si salveranno molti tonni dalle tonnare volanti ma soprattutto si andrà nella direzione di garantire questa meravigliosa risorsa anche a chi su questo pianeta verrà dopo di noi.

Grazie di cuore per la gentilezza e la disponibilità, Isabella.